di Leo Strozzieri

…la sua pertanto è una scultura da genesi in grado di misurarsi con i grandi temi della vita, della sua origine e del suo perché: in questo gli è risultata efficace la pietra albana eruttata circa sessantamila anni or sono dal vulcano di Albano, un materiale quindi che ha una sua intrinseca autorevolezza, segnata com'è da un'accentuata carica di misticismo al limite della sacertà.
Marazzi ha la vocazione perentoria dello scultore, anche quando disegna o si avventura nel favoloso mondo della tarsia, scultore devoluto soprattutto alla pietra, entro i cui blocchi l'artista ascolta echi, battiti di vita.
Siamo a quello che Bernardino Telesio chiamava ilozoismo, per cui la materia è in se stessa dotata di vita; il compito dello scultore consiste nello svincolare dalla materia l'oracolo obliterato che viene così ex-clamato.
Attraverso la scultura concepita come «arte del togliere», Marazzi spegne man mano la reticenza della materia che acquista una vocazione espressiva. I brandelli anche minuti che corrosi vengono eliminati, con accurata-accorata energia, il superfluo accumulato che intagliato cede lasciando affiorare l'idea, l'eidos, il verbum mentis che si struttura in opera d'arte, questo surplus della materia che muore, lascia erompere le figure che hanno l'aria di destarsi da un sonno millenario; l'implicito si esplicita dapprima timidamente sotto la veemente provocazione artigianale del mazzuolo e della subbia, e poi con luminosa solennità nella fase di gradinatura e ripulitura con lo scalpello piatto.
L'opera di Paolo Marazzi sul versante delle tematiche non è però l'esplicito totale, come non è la negazione definitiva, ma piuttosto il tentativo di ridurre all'estremo le relazioni con l'icone, che è dato percepire sottilissima come ombra d'una realtà posta oltre la soglia.
Eppure l'allusione alla realtà è entusiasta, come si conviene a uno spirito romantico ostinato nel vidimare ogni sua opera col sigillo della natura, della composta sequenza delle cose. Che però l'evidente indigenza del riferimento all'immagine non degenera in compiacenza formale, lo dimostra il fatto che la figura non è descritta fino in fondo, ma viene dall'artista cristallizzata nell'attimo stesso della sua protoepifania.
In parole semplici mai egli assume una prassi descrittiva nelle sue opere.
Il rifiuto della descrizione riguarda anche lo spazio, elemento radicale nella scultura: è pressoché assente la traiettoria rettilinea, come anche il piano dalle sue opere, grafie che avrebbero diviso, spezzato, descritto lo spazio.
Questo risulta invece omogeneo, uniforme, delineato dai timbri della luce e non dai diaframmi netti delle linee di forza dell'opera.

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